D. Lgs. 231/2001

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Linee guida per l’elaborazione di modelli organizzativi di gestione e controllo.

Assoconsult- Associzione Federativa Imprese di Consulenza. Giugno 2012.

“PRESUPPOSTI PER LA COLPEVOLEZZA DELL’ENTE

Il D. Lgs. 231, rubricato “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di responsabilità giuridica”, costituisce l’attuazione degli impegni assunti dall’Italia, anche a livello comunitario ed internazionale, nell’ambito della lotta alla corruzione ed ha introdotto nell’ordinamento Italiano un regime di responsabilità in sede penale a carico degli enti per alcuni reati commessi, a vantaggio o nell’interesse dell’Ente, da persone fisiche che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione degli enti stessi o di una unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale (posizioni apicali), nonché da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti sopra indicati (soggetti sottoposti). Tale responsabilità si aggiunge a quella della persona fisica che ha materialmente commesso il reato.

La responsabilità della società è esclusa nei casi in cui il reato sia stato commesso dall’autore esclusivamente per perseguire un interesse personale.

Dall’entrata in vigore del decreto e soprattutto negli ultimi anni, sono intervenuti numerosi interventi del Legislatore che hanno esteso la responsabilità penale ed amministrativa degli Enti ad una sempre maggiore gamma di reati.

Merita particolare cenno l’introduzione degli articoli che hanno esteso la responsabilità in materia di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro e l’estensione dei reati presupposto agli illeciti in materia ambientale.

  1. CRITERI DI IMPUTAZIONE DELLA RESPONSABILITA’

CRITERI DI IMPUTAZIONE OGGETTIVA

In applicazione dei criteri di imputazione oggettiva, l’Ente è tenuto a rispondere allorquando il fatto reato sia stato commesso da un soggetto funzionalmente legato all’Ente e nell’interesso e/o a vantaggio dell’Ente medesimo.

Quest’ultima condizione ricorre allorquando l’autore del reato abbia agito con l’intento di favorire l’Ente e quest’ultimo, grazie all’illecito, abbia ottenuto un vantaggio ovverosia un risultato favorevole. Per converso, l’Ente non risponde se il fatto di reato è stato commesso nell’interesse esclusivo dell’autore del reato o di terzi.

Gli autori del reato dal quale può derivare la responsabilità dell’Ente possono essere:

  1. Soggetti Apicali: ovvero soggetti con potere di amministrazione, gestione e direzione dell’Ente; rientrano in tale categoria amministratori, direttori generali, rappresentanti legali, direttori di divisione o stabilimento nonché, in generale, tutti coloro che esercitano, anche solo di fatto, funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione degli enti o di una loro unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale;
  2. Soggetti Subordinati: sottoposti alla direzione e al controllo da parte dei soggetti apicali. Appartengono a questa categoria tutti i dipendenti dell’ente nonché tutti coloro che agiscono in nome, per conto o nell’interesse dell’Ente, quali collaboratori, parasubordinati e consulenti.

I criteri di imputazione oggettiva dell’Ente si articolano differentemente, a seconda che il reato sia stato commesso da un soggetto apicale o da un soggetto subordinato.

  1. Se il reato è commesso da un soggetto apicale a), si presume che l’illecito sia imputabile ad una politica dell’Ente o, perlomeno, ad un deficit organizzativo, ragione per cui l’Ente si riterrà responsabile ove non dimostri la sua estraneità al fatto illecito;
  2. Se il reato è commesso da un soggetto in posizione subordinata b), la responsabilità dell’Ente viene ricondotta all’inadempimento (doloso o colposo) degli obblighi di direzione o di vigilanza da parte di soggetti in posizione apicale.

CRITERI DI IMPUTAZIONE SOGGETTIVA

I criteri di imputazione soggettiva dell’Ente attengono all’elemento della “colpa”: perché l’Ente sia ritenuto responsabile di un reato, l’illecito deve essere “rimproverabile”, ovverosia espressione della politica aziendale, o perlomeno di un deficit di organizzazione.

La responsabilità dell’Ente sussiste se non sono stati adottati o non sono stati efficacemente attuati standard di gestione e di controllo adeguati al settore di operatività dell’Ente.

SANZIONI

Le sanzioni che il legislatore ha voluto collegare alla responsabilità penale e amministrativa delle persone giuridiche sono di varia natura a seconda della forma di commisurazione e dell’incidenza che le stesse hanno sullo svolgimento dell’attività di impresa. Esse possono essere suddivise come segue:

  1. Sanzioni pecuniarie;
  2. Sanzioni interdittive;
  3. Confisca del profitto del reato;
  4. Pubblicazione della sentenza.

SANZIONI PECUNIARIE: è incentrata sul concetto di “quota” e viene applicata in un numero non inferiore a cento né superiore a mille. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il Giudice determina il numero delle quote tenendo conto dei principi fondanti della teoria penal-preventiva e cioè della gravità del fatto, del grado di responsabilità dell’Ente nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

Nella determinazione dell’importo della quota, si tiene conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’Ente, allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione.

Il Giudice, infine, porrà in essere un calcolo moltiplicativo assumendo come moltiplicatore il numero delle quote determinato in relazione alla gravità oggettiva e soggettiva dell’illecito e moltiplicando il valore monetario della singola quota stabilito in relazione alle condizioni economiche e patrimoniali del soggetto coinvolto.

Il concetto di quota consente al Giudice di disporre di un strumento che possa contemperare svariati interessi, primo fra tutti, quello dell’efficacia della sanzione unitamente a quelli di perseguire obiettivi di prevenzione generale e di prevenzione speciale.

SANZIONI INTERDITTIVE: sono quelle che possono comportare conseguenze dirette sull’attività di impresa, in quanto possono consistere nella sospensione o nella revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito ovvero del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione.

Va in ogni caso precisato che le sanzioni interdittive possono essere applicate solo per i reati per i quali sono espressamente previste e quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:

  1. L’Ente abbia ottenuto dal reato un profitto di rilevante entità ed il reato sia stato posto in essere da un soggetto apicale o da soggetti sottoposti all’altrui direzione;
  2. In caso di reiterazione degli illeciti.

Le sanzioni interdittive hanno un limite temporale minimo di tre mesi ed un massimo di due anni.

Tra le sanzioni interdittive vi è anche l’interdizione dall’esercizio dell’attività che deve essere applicata solo se le altre sanzioni interdittive sono ritenute dal Giudice inadeguate.

A seguito dell’applicazione di una sanzione interdittiva, il Giudice può disporre la pubblicazione della sentenza di condanna in uno o più giornali ovvero mediante affissione nel comune ove la Società ha la sede principale.

Con la sentenza di condanna, il Giudice dispone sempre la confisca del prezzo o del profitto del reato, ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente, salvo la parte che possa essere restituita al danneggiato.

Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato, mentre l’inosservanza delle medesime può comportare la reclusione da sei mesi a tre anni per l’autore materiale della trasgressione nonché l’applicazione della sanzione pecuniaria e delle misure interdittive ulteriori nei confronti dell’Ente.

La confisca del reato e la pubblicazione della sentenza trovano, quindi, nella loro stessa attuazione la duplice ratio, rivolta a privare immediatamente l’Ente dal beneficio economico avuto con la commissione del reato e, nello stesso tempo, ad incidere direttamente sulla concezione e percezione che tutti i Partener hanno dell’Ente che ha commesso il reato.

DELITTI TENTATI

Il D.Lgs. 231/2001 prevede e regola i casi in cui il delitto si realizzi solo nelle forme del tentativo. L’ art. 26 del Decreto stabilisce che “le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà in relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei delitti indicati nel presente capo del decreto 231/2001”. L’ Ente non risponde dei delitti tentati quando volontariamente impedisce il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento.

RESPONSABILITA’ E VICENDE MODIFICATIVE

Il Decreto disciplina il regime della responsabilità qualora l’Ente modifichi la propria struttura successivamente alla commissione di un reato.

In caso di trasformazione o fusione, la società risultante dalla modifica è responsabile dei reati commessi dall’Ente originario, con conseguente applicazione delle sanzioni irrogate. In caso di scissione parziale, rimane impregiudicata la responsabilità dell’Ente scisso per i reati commessi anteriormente alla scissione. Tuttavia, gli enti beneficiari della scissione sono solidalmente obbligati, limitatamente al valore del patrimonio trasferito, al pagamento delle sanzioni pecuniarie dovute dall’ente scisso per i reati anteriori alla scissione. Le sanzioni interdittive eventualmente comminate si applicano agli enti cui è rimasto o è stato trasferito, anche in parte, il ramo di attività nell’ambito del quale il reato è stato commesso.

In caso di cessione o di conferimento dell’azienda nell’ambito della quale è stato commesso il reato, il cessionario è solidalmente obbligato con il cedente al pagamento della sanzione pecuniaria, salvo il beneficio della preventiva escussione dell’ente cedente e comunque nei limiti del valore dell’azienda ceduta e delle sanzioni pecuniarie risultanti dai libri contabili obbligatori, o di cui il cessionario era comunque a conoscenza.”