FIGURE PROFESSIONALI E RESPONSABILITÀ

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In tema di responsabilità del medico, risalta in particolare la questione della responsabilità dell’ équipe medica. In questo caso, in relazione ai diversi ruoli rivestiti all’interno della stessa, i medici possono assumere responsabilità diverse nei confronti del paziente.

L’attività in équipe trova la sua funzione nella cooperazione necessaria in campo sanitario con l’intervento contemporaneo o differito nel tempo di vari operatori sanitari, soprattutto in materia chirurgica, quali chirurghi, anestesisti, infermieri ecc.. e il lavoro d’équipe è visto come nodo del passaggio dalla responsabilità “del medico” alla responsabilità “medica”.

In caso di cooperazione multidisciplinare anche non contestuale ciascun sanitario è responsabile non solo del rispetto delle regole di diligenza e prudenza connesse alle mansioni specificamente ed effettivamente svolte, ma deve costituire anche una sorta di garanzia per la condotta degli altri componenti e porre quindi rimedio agli eventuali errori altrui. La convergenza di tutte le attività verso un fine comune ed unico fa sorgere, dunque, sui medici che svolgono attività di gruppo un dovere generico di reciproco controllo, a prescindere dal ruolo rivestito all’interno dell’équipe (Cass. penale, sez. IV, 16.07.2015, n. 30991); la responsabilità di ciascuno per il mancato o l’inesatto controllo potrà esistere, tuttavia, soltanto quando il comportamento colposo del compartecipe sia dovuto alla mancata osservanza delle leges artis generiche: l’errore dovrà essere, cioè, evidente e non settoriale, rilevabile e riparabile con l’ausilio delle conoscenze scientifiche di un professionista medio, rese evidenti dalle concrete circostanze del caso. Da sottolineare, poi, che tali norme valgono anche per il personale paramedico.

La dottrina prevalente ha stabilito che qualora la condotta posta in essere dal singolo sanitario si sovrapponga a quella di altri soggetti, il precetto concreto di diligenza a cui attenersi nel caso concreto dovrà fare riferimento al c.d. principio dell’affidamento, in base al quale ogni soggetto non dovrà ritenersi obbligato a delineare il proprio comportamento in funzione del rischio di condotte colpose altrui, atteso che potrà sempre fare affidamento sul fatto che anche gli altri soggetti agiscano nell’osservanza delle regole di diligenza proprie.

Vanno riconosciute al chirurgo capo équipe ed all’anestesista una posizione di preminenza sul gruppo. In particolare il chirurgo capo équipe ha il potere-dovere di coordinare il gruppo assumendo tutte le informazioni preventive necessarie per la conduzione dell’intervento, verificando che tutti gli elementi necessari siano disponibili, che tutto il personale che forma l’équipe sia a conoscenza delle problematiche relative anche alle condizioni del paziente e sia perfettamente idonea e preparata alle possibili evenienze e assegnando, infine, ad ognuno i relativi compiti stabilendo, dunque, le singole attività cui sarà tenuto ciascun componente. L’anestesista ha, invece, il ruolo di gestore dell’emergenza, che deve portarlo ad individuare i problemi specifici del paziente e ad attivare le necessarie consulenze ed interventi specialistici prima di predisporre l’atto operatorio in senso stretto. Se tali doverose condotte siano state omesse, l’imperizia del professionista intervenuto al verificarsi dell’emergenza non assume valenza di sola causa sopravvenuta produttiva dell’evento.

L’obbligo di vigilanza per il capo équipe, comunque, non esonera totalmente i singoli componenti da responsabilità in caso di errore di un singolo appartenente alla stessa. In questi casi sarà necessario valutare la tipologia di errore che è stata commessa.

La posizione di garanzia  del capo équipe e dell’équipe chirurgica nei confronti del paziente riguarda anche la fase post-operatoria, gravando sui sanitari un obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato e sul capo équipe il dovere di controllo, anche attraverso interposta persona; ne consegue che dalla violazione di tale obbligo, fondato anche sul contratto d’opera professionale, può discendere la responsabilità penale dei medici qualora l’evento dannoso sia causalmente connesso ad un comportamento omissivo ex art. 40 co. 2, c.p.

Altra figura di rilievo è, poi, quella del primario.

La figura del primario viene nettamente valorizzata dalle interpretazioni fornite dai giudici di legittimità, avendo questi un generico obbligo di garanzia nei confronti dei pazienti, un onere, cioè, di impedire che nella struttura da lui diretta si verifichino eventi dannosi per la salute del paziente.

In ragione di tale posizione al primario potrebbero essere addebitati comportamenti compiuti da altri soggetti a lui sottoposti che abbiano cagionato eventi lesivi per il paziente, sia a titolo di concorso o cooperazione con essi sia a titolo omissivo (per non aver impedito comportamenti che avrebbe avuto il dovere giuridico di impedire).

Il primario ospedaliero, ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, ha la responsabilità dei malati della divisione, per i quali ha l’obbligo di definire i criteri diagnostici e terapeutici che gli aiuti e gli assistenti devono seguire e di vigilare sull’esatta esecuzione da parte dei medesimi (art. 63 del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761).

Egli non può, ad ogni modo, essere chiamato a rispondere di ogni evento dannoso che si verifica, pure in sua assenza, all’interno del reparto affidato alla sua responsabilità, non essendo possibile esigere dallo stesso un controllo continuo e analitico di tutte le attività terapeutiche ivi attuate; tuttavia, si ritiene che debba avere puntuale conoscenza delle situazioni cliniche che riguardano tutti i degenti, a prescindere dalle modalità di acquisizione di tale conoscenza (con visita diretta o interpello degli altri operatori sanitari), essendo perciò obbligato ad assumere informazioni precise sulle iniziative intraprese o che stiano per essere intraprese dagli altri medici cui il paziente sia stato affidato, indipendentemente dalla responsabilità degli stessi, con riguardo a possibili, e non del tutto imprevedibili, eventi che possono intervenire durante la degenza del paziente in relazione alle sue condizioni, allo scopo di adottare i provvedimenti richiesti da eventuali esigenze terapeutiche.

Il primario, inoltre, deve assumere informazioni precise sulle iniziative assunte dagli altri medici dell’équipe e deve predisporre interventi correttivi in presenza di accertata disfunzione organizzativa, ad esempio anche disponendo il trasferimento in una struttura più attrezzata, comparando il rischio con i tempi di trasporto.

Il primario sarà, quindi, responsabile per gli eventi lesivi che aveva l’onere di impedire mentre sarà esente da responsabilità per quanto riguarda le lesione che sfuggono al suo controllo e che travalichino i suoi poteri giuridici impeditivi.

La Corte di Cassazione ha stabilito che il primario ospedaliero è responsabile del danno derivato da un deficit organizzativo della struttura da lui diretta, ove non dimostri di avere adempiuto tutti gli obblighi a lui imposti dall’articolo 7 del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, ossia di essersi informato sulle condizioni dei malati, di aver impartito le necessarie istruzioni al personale, e di avere predisposto le direttive per eventuali emergenze; inoltre ha stabilito che sussiste la responsabilità del primario ospedaliero qualora, pur conoscendo le carenze organizzative della struttura dallo stesso diretta, ometta di trasferire il paziente in struttura idonea. (Cass. civile, Sez. III, 22.10.2014 n. 22338)

Se primario e assistente condividono le scelte terapeutiche, entrambi ne assumono la responsabilità anche solidale. Nel caso in cui l’assistente o l’aiuto non condividano le scelte terapeutiche del primario, devono esprimere il proprio dissenso; diversamente potranno essere ritenuti responsabili dell’esito negativo del trattamento terapeutico, non avendo compiuto quanto in loro potere per impedire l’evento. Il sottoposto può essere ritenuto responsabile dei danni causati al paziente per aver seguito le direttive impartitegli nel caso in cui sia stato l’unico soggetto ad intervenire sul paziente o quando abbia fattivamente collaborato con il superiore intervenuto lui stesso sul paziente.

Infine, come accennato in precedenza, posizione particolare riveste l’anestesista. Pur facendo parte dell’équipe, infatti, egli svolge compiti peculiari che riguardano la gestione dell’emergenza che lo caratterizzano e distinguono dal resto dell’équipe.

All’anestesista spetta, infatti, il compito di valutare ed esprimere il suo parere motivato circa l’opportunità di un intervento chirurgico, valutando di volta in volta, con riferimento ad ogni singolo intervento programmato, le condizioni cliniche del paziente in relazione al trattamento anestesiologico.

La decisione del chirurgo è solitamente vincolata da tale valutazione; nell’ipotesi in cui l’intervento risultasse indispensabile per salvare la vita del paziente, il chirurgo potrebbe decidere di intervenire nonostante il parere sfavorevole dell’anestesista. Nel caso in cui l’intervento si concludesse con esito negativo, e si accertasse che l’anestesia è stata la causa dell’evento, il medico non risponderebbe di omicidio colposo, data l’urgenza e l’assoluta necessità di intervenire per salvare la vita del paziente.

Anche in questo caso l’anestesista che avesse sconsigliato l’intervento, e non fosse concorde neppure sull’urgenza della situazione, dovrà far emergere e documentare tale dissenso ai fini di una pronuncia di esenzione di responsabilità per eventuali danni causati dall’intervento. In caso di mancanza di urgenza il parere dell’anestesista dovrebbe, invece, sempre prevalere su quello del chirurgo.